
07 Mag Torna l’evasometro: come funziona e a chi si rivolge il Fisco con i controlli
Il governo Meloni ha deciso di rilanciare un sistema di controllo fiscale che in passato aveva suscitato dibattiti: l’evasometro, nel quadro del rilancio di una lotta sempre più serrata contro l’evasione fiscale. Più che una semplice reintroduzione, si tratta di un’evoluzione significativa, potenziata dall’innovazione tecnologica e dall’accesso a una quantità di dati senza precedenti, grazie anche alla collaborazione internazionale. La nuova versione, illustrata dalla Guardia di Finanza durante un’audizione in Senato, ha l’obiettivo di identificare i contribuenti con debiti fiscali rilevanti (superiori a 50mila euro) che, nonostante ciò, continuano a gestire patrimoni ingenti, spesso occultati all’estero o non coerenti con le dichiarazioni fiscali.
Grazie all’integrazione di banche dati italiane, segnalazioni finanziarie, movimenti bancari e al meccanismo internazionale di scambio automatico di informazioni fiscali, il Fisco sarà in grado di creare profili di rischio dettagliati. Il duplice scopo del sistema è quello di evitare il peggioramento delle posizioni debitorie e contrastare chi cerca di eludere il pagamento delle imposte spostando fondi su conti esteri, anche in paradisi fiscali. Sotto la lente di ingrandimento ci sono milioni di conti correnti detenuti fuori dai confini italiani, alcuni dei quali non completamente trasparenti.
Il Generale Luigi Vinciguerra, a capo del Terzo Reparto Operazioni della Guardia di Finanza, ha spiegato alla Commissione Finanze del Senato che il nuovo evasometro non scatterà automaticamente su tutti i contribuenti, ma solo su quelli considerati ad alto rischio. Non ci dovrebbero essere così controlli di massa, ma verifiche approfondite su chi presenta segnali concreti di evasione grazie all’incrocio intelligente di dati provenienti da fonti distribuite in tutto il mondo.
I numeri ufficiali avrebbero individuato l’esistenza di oltre 3,4 milioni di conti correnti intestati a cittadini italiani depositati all’estero, una massa complessiva dal valore che supera i 200 miliardi di dollari. Una parte di questi è perfettamente regolare, ad esempio chi ha una casa a Londra o lavora a New York e ha aperto lì un conto, ma un’altra fetta potrebbe nascondere strategie elusive. Ci sono italiani che temono una patrimoniale e preferiscono non tenere i soldi in patria. E poi ci sono quelli che scelgono paradisi fiscali come le Isole Cayman o le British Virgin Islands per occultare capitali al Fisco italiano.