Gran Bretagna paga il conto con la storia sulla biodiversità

Gran Bretagna paga il conto con la storia sulla biodiversità

L’Inghilterra dovrà andare incontro a “significativi cambiamenti” nell’uso del suolo per arrestare la profonda crisi che attanaglia il suo ecosistema. È il messaggio lanciato dall’Agenzia britannica per l’Ambiente. In un suo nuovo rapporto, l’ente governativo ha evidenziato la preoccupante situazione che caratterizza la nazione più estesa del Regno Unito, sottoposta da tempo immemore a una pesante contrazione della sua biodiversità.

“La natura fornisce le basi per la vita: acqua pulita, aria pura e cibo“, ricorda lo studio. “Di fronte alle forti pressioni esercitate sul territorio, le soluzioni basate sulla natura devono essere una parte importante della nostra strategia per proteggere questi elementi essenziali e ricostruire il nostro ambiente biologico”.

 

L’Inghilterra sperimenta il crollo della biodiversità

L’industrializzazione, rileva il rapporto, ha contribuito a rendere l’Inghilterra uno dei Paesi più poveri al mondo in termini di varietà naturale. Il processo, iniziato in anticipo rispetto alle altre nazioni, ha stimolato un diffuso cambiamento d’uso del suolo producendo perdite significative. Dalla rivoluzione industriale ad oggi sono spariti il 99,7% delle paludi, il 97% delle praterie, l’80% delle brughiere di pianura, il 70% dei boschi antichi e l’85% delle saline.

L’impatto sulle specie animali e vegetali, prosegue lo studio, è stato piuttosto significativo al punto che oggi  un quarto dei mammiferi presenti in Inghilterra e quasi un quinto delle piante del Regno Unito sono a rischio estinzione.

Anche l’urbanizzazione, ovviamente, ha fatto la sua parte. Dal 1945 lo sviluppo degli insediamenti costieri ha portato alla distruzione del 20% delle dune sabbiose, delle barene e degli scogli.

Male l’agricoltura, buone notizie dalle foreste

Le preoccupazioni espresse dall’Agenzia non risparmiano l’agricoltura che, ad oggi, occupa il 70% della superficie arabile della nazione. “L’aumento della domanda di cibo e i progressi delle tecnologie agricole, che hanno raddoppiato le rese a partire dagli anni Cinquanta, hanno favorito pratiche che hanno cancellato o degradato gli habitat naturali pregressi”, spiega ancora l’indagine.

La crescita della superficie agricola in Inghilterra – aumentata del 40% tra il 1940 e il 1980 – ha portato inoltre alla conversione della maggior parte delle praterie e di altri habitat come le brughiere montane.

Numeri più incoraggianti vengono invece dalle foreste. Tra il 1947 e il 2022 la copertura boschiva in Inghilterra è passata dal 5,8% al 10,2%. Nel 2021, sono stati piantati 180 ettari di conifere e 1.870 ettari di latifoglie.

Cambiare gestione del suolo per aiutare il clima

In futuro, osserva l’Agenzia, le politiche di risposta all’emergenza climatica passeranno necessariamente da una diversa gestione del suolo. “Secondo il Comitato per il Cambiamento Climatico (CCC), per rendere il Regno Unito un’economia a zero emissioni nette è necessario un ‘cambiamento importante’ nell’uso del suolo nei prossimi decenni”, si legge nel rapporto.

“Le attuali modalità di utilizzo della terra sono insostenibili – proseguono gli autori – e in futuro non saranno in grado di sostenere la domanda di insediamenti né di soddisfare l’attuale produzione alimentare pro capite o di ridurre le emissioni“.

Secondo il Comitato, per raggiungere gli obiettivi occorrerà ridurre l’estensione del pascoli (dal 26 al 36% in meno) destinando ogni anno circa 30.000 ettari aggiuntivi per l’impianto di boschi.

Ripristinare gli habitat per uscire dalla crisi

Lo studio dell’Agenzia evidenzia ancora una volta il peso delle cosiddette “crisi gemelle”: il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. Quest’ultimo fenomeno, in particolare, è evidente in tutto il mondo e impatta sulla fornitura di servizi ecosistemici essenziali come l’impollinazione e il filtraggio dell’acqua.

“Per ottenere un’inversione di tendenza e garantire che la natura sia pronta ad affrontare i cambiamenti climatici, è necessario ripristinare su larga scala gli habitat perduti“, conclude lo studio.

A questo, infine, si aggiungono gli interventi necessari “per gestire i livelli di consumo dei Paesi ricchi che contribuiscono alla perdita di biodiversità”. Un impegno che dovrà coinvolgere diversi attori tra cui la Convenzione ONU sulla Diversità Biologica, chiamata ad affrontare le ricadute negative del sistema produttivo e della catena di fornitura globale sull’ambiente.

Fonte: Resoilfoundation.org – Matteo Cavallito