Vendita a catena di macchine agricole non c’è diritto a detrazione Iva

Vendita a catena di macchine agricole non c’è diritto a detrazione Iva

Si tratta di operazioni volte a far apparire come nuovi beni strumentali in realtà usati e di valore molto inferiore a quello artificiosamente fatturato dalle parti

L’azienda, già proprietaria di attrezzatura e/o di macchinari (trattori agricoli e beni strumentali), che effettua vendite circolari del bene interponendosi tra la società di leasing finanziario appartenente allo stesso gruppo e molteplici imprenditori agricoli, stipulando contratti simulati di finanziamento al solo fine di generare artificiosamente i requisiti necessari per fruire del credito agevolato previsto dalla legge Sabatini, pone in essere operazioni volte a far apparire come nuovi beni strumentali in realtà usati che, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica (come sale and lease back, o come sale and sale back), non sono imponibili a Iva e non generano alcun diritto alla detrazione d’imposta.
Lo ha affermato la Cassazione nell’ordinanza n. 17710 del 22 giugno 2021.

I fatti
Con avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2005 e 2006, l’ufficio ha recuperato (anche) l’Iva detratta indebitamente da una srl poiché, a suo avviso, era soggetto interposto tra una società di leasing finanziario, appartenente allo stesso gruppo e dalla quale acquisiva beni e attrezzature agricole, e il precedente proprietario, al quale li cedeva di nuovo.
In realtà si trattava di operazioni poste in essere tra tre soggetti tipo: un imprenditore agricolo cedeva un proprio bene strumentale “usato” (macchina agricola o attrezzatura) alla società contribuente, esercente attività di commercio all’ingrosso di macchine agricole e quest’ultima lo acquistava al prezzo corrispondente a quello dello stesso bene “nuovo”; lo stesso giorno o poco dopo, vendeva il bene allo stesso prezzo di acquisto ad altra società del gruppo che, a stretto giro, lo ritrasferiva all’originario imprenditore agricolo consentendogli di fruire dei vantaggi fiscali, consequenziali all’acquisto cartolare di un bene strumentale nuovo, e l’accesso al credito agevolato, previsto dalla legge n. 1329/65 (cosiddetta “legge Sabatini”) per favorire investimenti agricoli.
Lo schema negoziale prevedeva che le cessioni a catena coinvolgessero molteplici fornitori (imprenditori agricoli) e avessero luogo con prezzi di acquisto e prezzi di vendita che erano perfettamente coincidenti, maggiorati di spese istruttorie e interessi oggetto di autonoma fattura; i beni oggetto delle simulate vendite non si spostavano dalla sede del soggetto venditore e peraltro nessuna operazione veniva regolata mediante i normali canali bancari, bensì mediante conti di corrispondenza accesi presso la società finanziaria del gruppo con movimentazioni esclusivamente scritturali, senza spostamenti di denaro.
Le operazioni, quindi, risultavano realizzate al solo fine di generare artificiosamente i requisiti necessari per fruire del finanziamento previsto dalla legge Sabatini, in quanto volte a far apparire come nuovi beni strumentali in realtà usati e di valore notevolmente inferiore a quello artificiosamente fatturato dalle parti.
La contribuente ha impugnato gli avvisi senza successo in primo grado, ma con integrale accoglimento dei motivi di impugnazione della sentenza sfavorevole nell’appello. Nonostante il carattere simulatorio della serie di contratti posti in essere dalla contribuente emergesse in modo incontrovertibile dall’esame dei molteplici elementi istruttori sulla base dei quali risultava evidente che le aziende agricole, coinvolte nell’operazione fraudolenta, mai avevano perso la disponibilità giuridica e materiale dei beni strumentali, “fittiziamente” ceduti, e che tali beni mai erano transitati nella loro sfera giuridico-patrimoniale (ad esempio, nei libretti di circolazione dei beni mobili registrati, non risultava annotato alcun passaggio di proprietà; nel libro dei cespiti ammortizzabili erano stati annotati i soli costi d’impianto risalenti alla costituzione della società) il giudice di appello si è limitato alla mera qualificazione dell’operazione come sale and sale back, specificando che il cessionario era anche cedente del medesimo bene, per cui, mediante il sistema della rivalsa e delle detrazioni, l’Iva era stata compensata per imponibili di pari valore.
La Commissione regionale, inoltre, ha escluso la natura fraudolenta del contratto riconoscendo la sua causa concreta nello scopo di assicurare immediata liquidità, consentendo tale assetto negoziale sia di restituire il finanziamento ottenuto con lunga dilazione, sia di ottenere il vantaggio economico consistente in interessi passivi scontati rispetto a quelli al tasso ordinario. Ha ritenuto, infine, che la valutazione del bene come nuovo mirava soltanto ad ottenere un maggiore finanziamento, senza alterare i termini economici del rapporto contrattuale tra le parti.
L’Agenzia ha proposto ricorso per Cassazione lamentando violazione e falsa applicazione dell’articolo 19, Dpr n. 633/72 in relazione agli articoli 168 e 178, direttiva n. 112 del 2006, avendo il giudice d’appello erroneamente riconosciuto la detraibilità dell’Iva in relazione all’operazione nella quale, mancando l’atto traslativo, l’esborso della controparte si riduceva a un finanziamento del soggetto che appariva come venditore.
La Corte, decidendo nel merito, ha rigettato il ricorso originariamente proposto dalla società e ha affermato che, «indipendentemente … dalla configurazione del contratto come sale and lease back, o come sale and sale back, non è comunque ravvisabile alcuna operazione imponibile da cui scaturisca il diritto di detrazione».

Osservazioni
La Cassazione è stata chiamata a verificare se, a prescindere dalla qualificazione giuridica dell’operazione di finanziamento oggetto della fattispecie al suo esame, ricorressero i requisiti per ritenere sussistente una cessione di beni ovvero una prestazione di servizi imponibile a Iva, rispetto alla quale la contribuente avrebbe potuto esercitare il diritto di detrazione.
Tal diritto, infatti, nasce quando l’imposta detraibile diventa esigibile, ossia all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi, ed è legato alla realizzazione effettiva di una delle citate operazioni, con la conseguenza ulteriore che lo stesso diritto, subordinato alla condizione dell’effettiva realizzazione dell’una ovvero dell’altra operazione, non può sorgere, non essendo sufficiente la semplice menzione nella relativa fattura.
Al riguardo i giudici di piazza Cavour hanno ritenuto non configurabile una cessione di beni imponibile: ai fini dell’Iva, infatti, per cessione di beni si deve intendere non già il trasferimento di proprietà nelle forme previste dal diritto nazionale vigente, bensì qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale compiuta da una parte che autorizza l’altra parte a disporre di fatto di tale bene come se ne fosse il proprietario.
Come chiarito dalla giurisprudenza, sia unionale (CG UE, 27 marzo 2019, C-201/18) che nazionale (Cassazione, n. 11023/21), non risponde alla nozione di una cessione di bene imponibile ai fini Iva un’operazione di carattere eminentemente finanziario come il sale and lease back, volta al fine di aumentare la liquidità del venditore, che mantiene il possesso dei beni venduti, e in maniera duratura, per esigenze concernenti lo svolgimento della sua attività economica.
Ad analoghe conclusioni la Cassazione è giunta anche con riguardo all’esame della figura del sale and sale back che pure rispondeva a causa di finanziamento, considerata «la circostanza di fatto che il bene strumentale è rimasto nella disponibilità delle imprese che conferivano l’incarico è un aspetto tipico del predetto contratto..
I giudici di legittimità hanno poi osservato che non si potrebbe pervenire a diverse conclusioni se l’operazione fosse qualificata come prestazione di servizi. Ciò in quanto la causa concreta di finanziamento accertata dal giudice di merito comporterebbe sì la soggezione a Iva, ma in regime di esenzione ex articolo 10, comma 1, n. 1 (cfr. Cassazione, n. 24268/15 e n. 242/21); circostanza questa che comunque osterebbe all’insorgenza del diritto di detrazione.

Nella fattispecie al suo esame, quindi, la Corte, tenendo conto che non sono ravvisabili cessioni o prestazioni di servizi imponibili ai fini Iva, ha ritenuto irrilevante ogni ulteriore indagine ai fini dell’esercizio del diritto di detrazione, comprese quelle volte a evidenziare l’inesistenza delle operazioni e la consapevolezza di tale inesistenza da parte della società contribuente. Ciò in quanto, sempre tra le stesse società contraenti e con riferimento alle stesse contestazioni anche se relative ad annualità d’imposta diverse, i giudici di piazza Cavour hanno già riconosciuto la realizzazione di operazioni inesistenti in relazione a vendite a catena di macchine agricole usate (cfr. Cassazione, n. 6526 e n. 22706 del 2020).

fonte: fiscooggi.it