Quanto costa il cibo? Come la speculazione avvelena i prezzi dell’agroalimentare

Quanto costa il cibo? Come la speculazione avvelena i prezzi dell’agroalimentare

(Di Eduardo Lubrano). La speculazione finanziaria si nasconde dietro la guerra in Ucraina. Certamente, ed attenzione alle notizie false messe in giro ad arte in questi giorni da speculatori, mediatori, politici e quanti altri hanno interessi ad alterare il sistema della domanda e dell’offerta ed influire sui prezzi dei prodotto agroalimentari. E che dimenticano ad arte gli effetti della crisi climatica sulla produzione.

Per esempio il settore agroalimentare italiano non è in crisi a causa della guerra. Perchè gli effetti del conflitto su questo settore per quanto ci riguarda sono limitati solo ad alcune materie prime che il nostro Paese importa dall’est dell’Europa, in particolare mais e olio di girasole. L’unico settore che avrà delle ripercussioni dirette è quello zootecnico, grande consumatore di mais: in UE il 70% delle materie prime per i mangimi degli animali (fra cui mais) è infatti di origine extra UE.  Anche in Italia maggior parte (oltre l’80%) del mais è destinata all’uso zootecnico e solo la restante parte è utilizzata per altri impieghi. Spiega il WWF in un documento che si chiama Food4Future :” Oltre alla perdita del mais ucraino (da cui proviene quasi la metà del mais importato in Europa e il 13% di quello importato in Italia), è stato annunciato il blocco delle esportazioni di mais anche dall’Ungheria per tutelare la domanda interna, ma anche per speculazioni finanziarie legate all’aumento dei prezzi sul mercato globale. L’Ungheria con circa il 35% è il principale fornitore di mais per l’Italia.  Le importazioni di mais dell’Italia rappresentano poco meno del 50% della domanda interna, in aumento da alcuni anni in conseguenza del crollo delle superfici a mais in Italia.  Gli agricoltori italiani hanno, infatti, smesso di produrre mais per la filiera zootecnica per il suo basso prezzo sul mercato, preferendo altre colture in grado di garantire redditi più alti. Il risultato di queste scelte, dettate solo dalla logica del massimo profitto, è la perdita dell’autosufficienza nella produzione di mais in Italia, ridotta in un decennio al 50% del fabbisogno totale. Anche la filiera dell’olio di girasole (usato per conserve, prodotti da forno, salse, fritture) risentirà degli effetti della guerra, perché l’Ucraina detiene il 60% della produzione e almeno il 75% dell’export mondiale e rappresenta il principale coltivatore di girasoli al mondo. L’olio di girasole può essere però sostituito con altri oli vegetali disponibili sul mercato”.

Allora avremo meno grano e cereali per colpa della guerra? Ancora una volta la risposta è no. Perchè l’Italia importa dall’Ucraina solo il 5% del suo fabbisogno di grano, una quota che può essere colmata importandola dagli altri stati membri dell’UE che ne hanno in eccesso. Il problema vero per l’Italia è dato dalla grave siccità che sta colpendo il nostro Paese e che avrà ripercussioni sul raccolto di quest’ estate. Ancora il documento WWF :”L’aumento del costo del grano, duro e tenero, è in atto da ben prima del conflitto in Ucraina ed è causato da una parte dalle speculazioni finanziarie e dall’altra dalla riduzione delle produzioni in Canada, come conseguenza della siccità che ha colpito il nord America nella stagione 2020-21″.

Le speculazioni

Le speculazioni finanziarie stanno condizionando la produzione di materie prime agroalimentari?

La risposta è sì, sempre secondo quanto riporta Food4Future: una delle possibili cause della crisi del settore agroalimentare, determinata dall’aumento dei prezzi delle materie prime, oltre che dei carburanti e dei fertilizzanti chimici di sintesi, è da individuare senz’altro nella speculazione finanziaria. Vi è una differenza sostanziale nella logica d’azione degli operatori commerciali tradizionali da quelli finanziari. I primi prendono le loro decisioni di acquisto e vendita dei “futures” (contratti che stabiliscono l’impegno da parte dei contraenti a vendere e acquistare una certa quantità di merce ad una data futura per un prezzo stabilito) principalmente in base alle previsioni dei livelli di produzione delle materie prime agricole, sulla base degli andamenti della domanda e sulle informazioni relative alla consistenza delle riserve esistenti. Gli operatori finanziari sono guidati, invece, da logiche svincolate dai livelli della produzione agricola, seguendo esclusivamente le intenzioni di vendita o acquisto dei titoli che sono di breve o brevissimo termine. Un aumento del valore dei “futures” induce coloro che li posseggono a ritardarne la vendita per poter realizzare maggiori ricavi in futuro grazie all’aumento dei prezzi. Il risultato complessivo è che i prezzi salgono ancora di più perché l’offerta cala e la domanda cresce, indipendentemente dalla produzione agricola reale, solo per effetto delle strategie di acquisto e vendita dei titoli. Si creano così bolle speculative dove l’andamento dei prezzi delle materie prime non riflette le tendenze reali della produzione agricola, ma segue le transazioni dei relativi titoli finanziari.

Le lobby dell’agricoltura convenzionale stanno strumentalizzando la crisi legata alla guerra?

Anche in questo caso la risposta è sì.: Perchè le Associazioni agricole a livello europeo e nazionale stanno utilizzando le difficoltà collegate alla guerra in Ucraina, amplificandole, senza vere motivazioni oggettive sostenute da dati che dimostrino il rischio di una reale crisi alimentare nel nostro Paese e in Europa. L’obiettivo è fare pressione sui decisori politici per cancellare o ridimensionare le norme ambientali della nuova Politica Agricola Comune (PAC) e gli obiettivi delle due Strategie UE del Green Deal, “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”. Queste due Strategie dell’UE prevedono, entro il 2030, la riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi e antibiotici, la riduzione del 20% dell’uso dei fertilizzanti chimici di sintesi, l’aumento fino al 25% – a livello europeo – della superficie agricola utilizzata (SAU) per l’agricoltura biologica e la creazione di aree destinate alla conservazione della natura nel 10% delle superfici agricole. Sono tutti obiettivi che impattano sugli interessi economici dell’agroindustria, legati alla produzione di pesticidi e concimi chimici, nonché alla produzione agricola intensiva in generale. Per questo motivo, le potenti lobby agricole hanno cercato di ostacolare queste Strategie europee fin dalla loro presentazione ufficiale, il 20 maggio 2020, riuscendo a condizionare la recente riforma della PAC, evitando fino ad oggi di rendere questi obiettivi ambientali vincolanti per gli Stati membri. La nuova PAC contiene, comunque, alcune novità importanti, utili per l’attuazione delle due Strategie UE, tra cui l’obbligo delle rotazioni delle colture e l’obbligo di destinare alla conservazione della natura almeno il 4% delle superfici utilizzate per i seminativi, ma solo per le aziende che hanno una SAU superiore ai 10 ettari. La guerra in Ucraina ha offerto l’occasione per chiedere l’eliminazione di queste norme ambientali della PAC.

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Fonte: impakter.it