BCE: dopo 11 anni tornano a salire i tassi di interesse: cosa cambia

BCE: dopo 11 anni tornano a salire i tassi di interesse: cosa cambia

Esattamente dopo undici anni, la Bce è intervenuta – forse con una punta di ritardo – decretando un rialzo dei tassi di interesse di mezzo punto percentuale.

Il quadro economico si sta facendo davvero preoccupante, con un’inflazione che si avvicina pericolosamente alla doppia cifra e le conseguenze di una guerra Russia-Ucraina che non si ferma solo ai campi di battaglia ma alimenta un confronto economico e finanziario mai visto dal dopoguerra ad oggi.

L’Eurotower ha optato per una stretta monetaria più decisa dello 0,25% che le veniva accreditato nei giorni passati, arrivando a +0,50% di aumento del costo del denaro.

Quali ripercussioni dirette nella vita di cittadini e imprese avrà il provvedimento? Perché la Banca centrale alza i tassi?

Il tasso di interesse si può definire come il principale strumento di politica monetaria di una banca centrale. Serve a realizzare l’obiettivo primario che è il mantenimento della stabilità dei prezzi, ovvero una bassa inflazione intorno al 2%.

Nel momento in cui l’inflazione sale oltre i limiti di guardia – e con 6 punti percentuali in più è innegabile che siamo in questa condizione – ne derivano importanti e dannose conseguenze tra cui, prima tra tutte, la perdita di valore dei risparmi.

La banca centrale interviene aumentando il costo del denaro e, quindi, riducendo la disponibilità di moneta in circolazione.

Questo comporta:

  • meno spese, quindi meno domanda, e meno investimenti, con il rischio di frenare la crescita pur di abbattere l’aumento fuori controllo dei prezzi.
  • prestiti e mutui più cari: l’aumento dei tassi della banca centrale influenza il livello generale dei tassi d’interesse.
  • costo del denaro. Se le banche dell’eurozona pagheranno un costo maggiore per prendere in prestito denaro dalla Bce, alla fine anche i prestiti e i finanziamenti a tasso variabile (mutui) a imprese e cittadini saranno più costosi.

Il parametro di riferimento per i mutui a tasso variabile è l’Euribor che, come gli altri tassi di interesse interbancari, è molto sensibile alla variazione del tasso Bce.

Addirittura gli incrementi per cittadini e imprese potrebbero essere maggiori in alcuni Paesi, come l’Italia, se la banca centrale non eviterà il ritorno della frammentazione del mercato europeo già vista negli anni scorsi.

Un segnale in tal senso è già arrivato dall’aumento dello spread tra Btp italiani e Bund tedeschi che misura, seppure in maniera approssimativa, il livello di rischio del Paese.

Se anche per un mutuo il parametro di riferimento non fosse lo spread, ma l’Euribor, tuttavia uno spread maggiore indebolisce le banche, che saranno così più prudenti a erogare i prestiti o li concederanno a tassi maggiori.

Ne conseguirà a catena un maggior costo del debito pubblico: gli Stati che emettono titoli di debito per finanziarsi al salire dei tassi dovranno offrirli con interessi più alti. Per non correre il rischio che i mercati possano orientarsi verso altri strumenti finanziari più redditizi.

Ma questo potrebbe comportare un aggravio della situazione per quei Paesi già molto indebitati, come l’Italia, al netto di interventi della banca centrale, simili al già visto quantitative easing, per tenere bassi gli spread.

Altra conseguenza è la perdita di valore delle obbligazioni emesse in precedenza, in quanto meno redditizie di quelle di nuova collocazione e, quindi, meno appetibili sul mercato.

Dalla stretta monetaria decisa dalla Bce, vediamo molto velocemente che  scaturisce un rafforzamento del tasso di cambio dell’euro che, al momento, ondeggia intorno alla parità con il dollaro. Che si è rafforzato negli ultimi mesi proprio grazie alla serie aggressiva di aumenti dei tassi operata dalla Federal Reserve.

Una moneta debole favorisce turismo ed esportazioni ma, al contrario, penalizza quei Paesi che importano molti beni, in particolare materie prime.

Il rischio generalizzato di una stretta monetaria è quello di provocare già nel breve periodo una frenata della crescita, dovuta a una contrazione dei consumi e degli investimenti da parte delle imprese. Certo – come a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 abbiamo vissuto in Italia, sarebbero ben più gravi le conseguenze di una inflazione galoppante.