ISPRA: “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2022”

ISPRA: “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2022”

Il 26 luglio è stata presentata l’edizione 2022 del Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” a cura del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA).

Con una media di 19 ettari al giorno, il valore più alto negli ultimi dieci anni, e una velocità che supera i 2 metri quadrati al secondo, il consumo di suolo torna a crescere e nel 2021 sfiora i 70 km2 di nuove coperture artificiali in un solo anno.

Rappresentano ormai il 7,13% della superficie nazionale a fronte di una media Ue del 4,2%. E se si considerasse solo la porzione di territorio teoricamente disponibile e idonea ai diversi usi, la percentuale supererebbe addirittura il 10%.

Il cemento ricopre ormai 21.500 km2 di suolo nazionale, dei quali 5.400, un territorio grande quanto la Liguria, riguardano i soli edifici che rappresentano il 25% dell’intero suolo consumato. Come fermare il consumo di suolo prima che sia troppo tardi?

Lo scioglimento delle Camere di questo luglio 2022, causato dalla crisi di governo, ha tolto ancora una volta, la speranza di vedere approvata una legge che fermi il consumo di suolo in Italia. Tutto dovrà essere rimandato alla prossima legislatura.

Le considerazioni fatte da Re Soil Foundation analizzano il fatto che l’urbanizzazione del territorio cresce nonostante la crisi demografica.

I cambiamenti rilevati nell’ultimo anno si concentrano in alcune aree del Paese. Il fenomeno rimane ad esempio molto intenso nelle zone di pianura, lungo le coste e nelle principali fasce metropolitane. “La maggior densità dei cambiamenti è stata registrata quest’anno entro un chilometro dal mare e nelle città e nelle zone urbane e periurbane dei principali poli e dei comuni di cintura”. Le zone cioè più attraenti per gli appetiti speculatori (non a caso sono quelle con i valori immobiliari più elevati).

A farne le spese, sono principalmente suoli precedentemente destinati ad agricoltura e vegetazione, anche in ambito urbano. “I dati confermano l’avanzare di fenomeni quali la diffusione, la dispersione, la decentralizzazione urbana da un lato e, dall’altro, la densificazione di aree urbane, che causa la perdita di superfici naturali all’interno delle nostre città, superfici preziose per assicurare l’adattamento ai cambiamenti climatici in atto”. E infatti, oltre il 70% delle trasformazioni nazionali si concentra nelle aree cittadine. Vengono così cancellati proprio quei suoli candidati alla rigenerazione.

Tutto questo ha ovviamente un costo più o meno nascosto. Rendere infatti il suolo impermeabile vuol dire esporre i territori all’aumento degli allagamenti, delle ondate di calore, alla perdita di aree verdi, di biodiversità e dei servizi ecosistemici. Tra questi, produzione agricola e di legname, stoccaggio di carbonio, controllo dell’erosione, impollinazione, regolazione del microclima, rimozione del particolato, regolazione del ciclo idrologico, disponibilità e purificazione dell’acqua. Vantaggi per pochi, disagi (e danni economici) per molti, dunque: ISPRA stima tali costi in quasi 8 miliardi di euro l’anno. “Una somma che potrebbe incidere in maniera significativa sulle possibilità di ripresa del nostro Paese” avvisano gli estensori del rapporto.